Anello delle Tre Cime | AppenninoBlues racconti di Appennino

Anello delle Tre Cime

Anello delle Tre Cime, trekking

Un trekking nella romagna toscana che da antiche lave ci porta alle origini della bandiera tricolore.

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Immaginiamoci una lunga linea morbida, sinuosa, equilibrata che improvvisamente si strappa, per un attimo diventa spigolosa, spinosa e poi ritorna dolce. Le ofioliti sono così. Le chiamano anche "pietre del diavolo" perché con il loro colore scuro e la forma aguzza interrompono bruscamente la regolarità di un paesaggio.

Sono allo stesso tempo violenza e stupore, sembrano meteoriti caduti sulla terra e tante sono le leggende che le circondano. Sono piccole montagne di antichissima lava che partono dalla liguria e che letteralmente galleggiano sulle pesanti sabbie compresse dell'Appennino.

Arrivano a noi dopo un viaggio di 180 milioni di anni e camminare sulle loro pareti significa calpestare la tetide, il fondale dell'antico oceano terrestre e così ogni volta che le percorriamo siamo palombari. Diventa banale e scontato dirlo, ma si tratta davvero di un viaggio nel tempo e come in ogni viaggio nel tempo qui troveremo sorprese, incognite e colpi di scena.

Le tre cime sono Sasso di Castro, Monte Rosso e Monte Beni, una sequenza di vette che separa le valli del Savena e del Santerno. E' quindi un percorso di crinale, panoramico e con ampie vedute caratterizzato dall'insolita presenza vulcanica in Appennino a modellare il paesaggio.

Partiamo appena dopo il piccolo paese di Covigliaio, terra di confine, di poste, di dogane. Siamo nel lembo occidentale della romagna toscana, quella fetta di terra romagnola anticamente annessa alla Repubblica fiorentina e tutto quello che vediamo avvicinandoci percorrendo la statale della Futa ci ricorda un recente mondo di frontiera. Ma le sorprese di Covigliaio le terremo per la fine.

Covigliaio dà anche il nome alla rispettiva Oasi naturalistica: un vasto lembo di terra tesoro di biodiversità e diversità per gli occhi. Rocce ripide, faggete, abeti, querceti e praterie che possono svelarci lupi, mufloni, tritoni ed infinità di flora e fauna estremamente rara.

Il percorso inizia da una strada sterrata di sassi bruni che subito ingloba nel paesaggio ofiolitico: le pietre che calpestiamo sono i frammenti di Sasso di Castro, la prima delle tre pietre del diavolo che incontreremo. Passa poco tempo e dalla strada imbocchiamo un sentiero bellissimo, paradisiaco. Il fondo è costruito da antiche pietre sapientemente squadrate ed incastrate nella terra ricavate dalla sovrastante roccia vulcanica: muri e massicciate e fondo si innestano in un perfetto equilibrio pratico e visivo.

L'equilibrio si rompe improvvisamente quando raggiungiamo nel punto più a sud dell'itinerario l'orlo della cava. Una rete metallica ci separa da una voragine di enormi gradini scavati con macchine fameliche e vediamo la montagna divorata da una bocca gigantesca, come un grande morso su una perfetta mela. Oltre due milioni di metri cubi di roccia, due colossei, sono stati trasformati in calcestruzzo per le opere TAV e di valico solo in questo periferico lembo di montagna. Viene naturale chiedersi fino a che punto sia giusto attingere alle risorse naturali e protette del territorio.

Il sentiero riprende a salire senza più la grazia precedente, la cava ai nostri piedi è sempre più piccola. Dal fondo sono spariti gli impianti di frantoio che per anni hanno dato l'impressione di una macchina lunare posata lì e la strada asfalta percorsa dai Tir, ora abbandonata, non si vede più o forse è solo coperta dalla nebbia stagionale. E' una parentesi triste e mentre la mente rimugina si raggiunge la vetta.

Siamo in cresta ed il sentiero è segnato molto bene anche perché ricalca quasi fedelmente il percorso di una gara di corsa, il Tre Cime SkyTrail. Questi atleti anche se non li vedi li immagini e con ammirazione e rispetto ti chiedi come facciano a portare a termine un percorso così impegnativo, ma dalla tua dici che questo stupore di vedute e cambi di vegetazione ed intrecci di storie lo puoi godere solo col cammino.

Una ripidissima discesa ed un'altra breve risalita ci portano quasi subito alla vetta del Monte Rosso. Il paesaggio è quello fresco del bosco di faggio e con aperture fra gli alberi la vista spazia sulle due ampie valli del Savena e Sillaro. Monte Beni lo si vede lontano, molto lontano, sembra quasi irraggiungibile, ma come tutte le volte che si affronta un'escursione panoramica ci si meraviglia sempre delle lunghezze che si è in grado di percorrere. La percezione della distanza è un concetto culturale.

Appena ci si abitua al bosco i Sasserelli si rivelano improvvisamente in un paesaggio roccioso. Siamo su un punto panoramico verso la valle del Savena, un luogo ideale per una sosta, con lo sguardo che si allunga su grandi boschi fino a raggiungere il percorso della Via degli Dei.

Il Monte Beni è l'ultima e la più affascinate delle tre cime. Il paesaggio è di nuovo roccioso e tornano prepotentemente le rocce. Ci troviamo di nuovo a percorrere un sentiero antico disegnato su rocce scoscese, piccoli resti di muri e pietre squadrate ci suggeriscono altre storie di antica memoria. Sul monte infatti esisteva una rocca medioevale. Le guide ci dicono che dalle foto satellitari è ancora visibile il perimetro delle sue mura; le ho cercate senza trovarle, ma poco importa.

Poco prima della cima entriamo nella Buca delle Fate, una piccola e suggestiva spianata circondata da massi e rocce, è solo un preavviso a quello che ci aspetta. Il panorama della vetta è infatti maestoso e vertiginoso. Possiamo osservare tutto il percorso fatto e da fare, le vette precedenti, Monte Freddi, Covigliaio giù in basso, ma anche tutta la dorsale appenninica della Raticosa, Monte Oggioli, Monte Canda che sovrasta Pietramala.

Sotto i nostri piedi, versante est, si apre la voragine di una vecchia cava, il versante è così vertiginoso da spaventarci ed in certe rarissime occasioni, con le nubi che si frangono contro la parete è possibile vivere lo straordinario fenomeno dello spettro di Broken. In queste condizioni la nostra ombra è proiettata sulle nubi e circondata da un arcobaleno magico e suggestivo.

La discesa ora diventa più impegnativa e tecnica, il sentiero può essere molto difficile da identificare anche con il GPS e se il tempo non è buono o se non ce la sentiamo conviene ripercorrere a ritroso il tratto che ci ha portato in vetta per poi imboccare il rientro per Covigliaio.

L'ultimo tratto che ci porta al paese ritorna ad essere boscoso ed incontriamo maestose piante di cerro ed è difficile resistere al loro richiamo per misurarne a braccia la larghezza del tronco, sentirne al tatto la corteccia. Il cerro è una quercia riconoscibile dalle altre per l'ispida "capigliatura" delle sue ghiande; da queste piante si dice che i druidi celti ne tagliassero il vischio con un falcetto d'oro e non è difficile immaginare che forse questi esemplari discendono proprio da quegli antichi riti.

Covigliaio, come si diceva, è terra di confine. La strada della Futa che raggiungiamo è stata per moltissimi anni uno dei principali nodi di connessione fra centro e nord della penisola. Qui convergevano le merci e le persone in transito dalla Toscana e dall'Emilia Romagna, dogane e stazioni di posta erano sparse al di qua e al di là del confine fra Stato Pontificio e Granducato.

L'Albergo della Posta situato al centro del paese divenne così un punto di riferimento per il passaggio e molti illustri personaggi furono registrati fra i suoi ospiti. Fra questi spicca la storia quasi sconosciuta di Luigi Zamboni e Giovanni Battista de Rolandis. Furono loro i responsabili del primo moto di ribellione bolognese contro lo Stato Pontificio. Per questo tentativo di colpo di stato, che poi costò loro la vita, crearono una coccarda tricolore come simbolo. Secondo la cosiddetta ipotesi bolognese è questa l'origine del tricolore italiano.

Ora l'Albergo della Posta è diventato la residenza per anziani Villa le Ortensie. Non c'è più il fermento di merci e genti dei secoli scorsi; le autostrade hanno cancellato questo passaggio strategico che ora è solo una strada come tante altre. Anche la lapide scritta da Carducci che commemorava Zamboni e de Rolandis è stata rimossa dall'albergo, ma ne possiamo trovare una copia all'interno dell'Università di Bologna. Destini che cambiano.

Il ritorno al punto di partenza avviene per una strada secondaria parallela alla statale, ma ancora possiamo respirare vite e ricordi dell'Appennino visitando il Piccolo museo di Covigliaio che si trova proprio su questa piccola arteria di rientro.

Informazioni

 13,7 km Sì
 808 m 1276 m
 808 m 844 m
 5-7 h No
 Intermedio No
 N 44.127, E 11.301
Cosa significa?

Percorso ad anello con partenza e arrivo nei pressi di Covigliaio, Firenzuola (FI).

Il percorso presenta alcune difficoltà tecniche nella discesa da Monte Beni: sentiero molto ripido e scivoloso e breve tratto lungo sentieri non segnalati difficili da identificare (GPS necessario). Attenzione: lungo questo tratto le indicazioni del Trail che siamo abituati a seguire dalla partenza ci condurranno fuori strada!
Queste difficoltà si possono eliminare scendendo da Monte Beni dallo stesso sentiero percorso in salita che riconduce alla normale strada di rientro.

L'acqua è presente solo in alcune fontane presso l'abitato di Covigliaio posto a fine itinerario. E' pertanto necessaria una scorta di acqua già dalla partenza.

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