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Vita da rifugio

sciatori nella neve verso il lago scaffaiolo

L'appuntamento è alle 12.30 al piazzale dove la strada per il Corno gira su se stessa e a proseguire si ritorna in pianura.

Per gli escursionisti questo piazzale è un molo da cui partono le rotte dei tanti sentieri che si sviluppano fra gli Appennini di Bologna, Modena e Pistoia. Oggi la destinazione è il rifugio Duca degli Abruzzi al Lago Scaffaiolo, ma non come turista, oggi salirò coi gestori per vivere questo itinerario con i loro occhi, un modo alquanto diverso di concepire un'escursione o meglio uno stile di vita.

Mirco è già lì che ci aspetta, la sua macchina è piena zeppa di rifornimenti che devono essere portati su. Anche il fuoristrada di Antonio non scherza, sono arrivato con lui e i sacchi della verdura, del pane e qualche bottiglia cozzavano fra gli zaini, gli sci e le ciaspole sui sedili posteriori abbassati.

Ci conosciamo bene da molti anni ed anche se è un po' che non ci si vede il saluto è essenziale, un sorriso, una stretta di mano un po' all'americana col suono attutito dai guanti da sci, poi ci si distribuisce subito il materiale.

Mirco mi chiede il sacco a pelo e le cose più voluminose che ho al seguito e me le scambia con un enorme busta di carne fresca: il suo zaino da venticinque chili sarà così più leggero. Sono molto contento di farlo, è un normale contributo al saliscendi di rifornimenti e visto che ho ancora posto mi sono affidate anche due bottiglie di liquore per il bar.

Questo è il primo dei due o tre viaggi che si dovranno fare perché le spalle più di tanto non possono caricare. Si preparano gli sci montando le pelli, si chiudono le auto, si agganciano gli scarponi, si caricano gli zaini in spalla e si prosegue in perfetta fila indiana verso il crinale.

Sono l'ultimo dei tre e la vista è davvero insolita, quasi buffa. I sacchi sono riempiti oltre le loro capienze, si vedono improbabili appendici, il tettuccio di quello di Antonio ferma un box di bottiglie di prosecco. Intorno la neve abbondante ha ridisegnato il paesaggio, ma nonostante le buone previsioni per domani adesso cade qualche piccolo fiocco e la vetta delle montagne è incappucciata dalle nubi.

A tre quarti della salita dobbiamo affrontare un traverso ghiacciato, una manovra delicata con questo carico, procediamo così uno alla volta a distanza di sicurezza per non sovraccaricare il manto nevoso, un gesto di routine nonostante tutto. Sono ancora ultimo, mi fermo per qualche foto verso la valle che si sta nascondendo dietro le nubi ed i miei compagni scompaiono in un universo bianco capace di dare sgomento.

Il rifugio è lì che ci aspetta, bello, imbiancato, ma va aperto e per farlo non basta girare la chiave di un cancello. Impiegheremo oltre trenta minuti di piccozza e pala (in tre dandoci il cambio è più facile) solo per aprire il minimo spiraglio che consenta di entrare strisciando pancia e schiena. Il compito di aprire del tutto la porta sarà mio, ancora piccozza, pala, piccozza, pala e ancora. Ci vorrà un'altra ora.

Un rifugio non è un edificio normale, è piuttosto una nave, un areo, un'astronave: va avviato. Impianti che devono essere attivati, manopole da girare nella giusta sequenza e con cautela, le tubature che possono essere gelate ed il danno in agguato, il pellet per la stufa da caricare e tanto, tanto altro. E' un gigante addormentato che prima di muoversi deve sgranchirsi le giunture dal freddo.

Due mesi fa c'è stato il fulmine

dice Antonio, "l'intero impianto elettrico compromesso e non si poteva nemmeno accendere la stufa perché anche il pellet vuole l'elettricità. La struttura è rimasta per qualche giorno quasi a zero gradi, perché in queste condizioni i tecnici mica arrivano subito. E' un appuntamento da programmare e organizzare. Se la strada è sbarrata dal ghiaccio e dalla neve come adesso, il materiale è da trasportare in spalla ed anche il tecnico è uno che deve sapere il fatto suo per salire".

Oggi, ad esempio, abbiamo trovato la neve dentro. Piccoli cristalli sono stati trasportati dal vento ed insinuati attraverso la presa d'aria del locale e poi depositati sul pavimento - almeno la interpretiamo così perché non troviamo altre spiegazioni - ed appena entrati in sala da pranzo siamo stati accolti da un bel tappeto bianco che poi abbiamo spazzato via con scopa e paletta.

Riusciamo a pranzare che sono le quattro passate, la pasta l'ha preparata Antonio mentre fuori spaccavo il ghiaccio della porta e Mirco nei sotterranei padroneggiava gli ingranaggi della sala macchine. Con appena tre gradi di temperatura all'interno la pentola fuma allo stesso modo di una pozione fatta dalle streghe, siamo in una specie di antro magico, la stufa arriverà sì a scaldare, ma ci vorranno ancora diverse ore.

L'ultimo carico dalle auto al rifugio viene terminato col buio ed anche grazie anche al mio piccolo contributo dell'andata adesso può scendere solo Mirco, un viaggio risparmiato insomma. Riesco così a godermi un tramonto straordinario col cielo schiarito ed il sole che si tuffa nel mare. Un bel modo per concludere una giornata.

Luca, uno degli storici aiutanti, "responsabile di sala" come si definisce ridendo, ci raggiunge più tardi e ci racconta dell'emozione nel salire illuminati da una luna quasi piena che ha reso la neve scintillante, anche lui con zaino enorme ed il suo bel carico di approvvigionamenti.

E una motoslitta?

Mirco e Antonio si alternano nella spiegazione. "Lo si è provato qualche hanno fa, oltre ai costi maggiori, e se vogliamo anche alcune implicazioni etiche, c'è il rischio di farsi davvero male. La conformazione dei versanti, i cumuli di neve ventata e il ghiaccio rendono la salita quasi sempre impraticabile o molto pericolosa. Il risultato sono stati alcuni carichi ribaltati nonostante i piloti coinvolti fossero persone molto esperte. Quando gli impianti di sci sono aperti va un po' meglio: il dislivello si riduce della metà, ma gli zaini sono da portare in spalla lo stesso."

Il secondo giorno inizia con una visione grandiosa. La corona delle Alpi su tutta la Pianura Padana è visibile nel suo intero splendore, dall'altra parte verso sud il mare regala la visuale limpida dell'Arcipelago Toscano ed oltre, fino alla Corsica. E' un privilegio vivere queste condizioni, ma è anche una scelta di vita coraggiosa e complessa. Poi non è sempre e solo tempo limpido, ci sono anche le bufere, i venti forti, i lunghi giorni di nebbia senza nessuno che arriva, ma con il gestore che comunque è lì. 

Oggi però si aspettano i clienti. Antonio e Luca come un dio Mercurio armeggiano tra i fuochi forgiando polente, ragù, funghi e formaggi. Con l'esperienza accumulata ieri mi occuperò ancora delle porte. Serrature da sbloccare, passaggi da allargare, altro ghiaccio da spaccare per poter aprire varchi e altre finestre.

Il lavoro più difficile è il lato nord del rifugio, dove la neve accumulata sfiora il tetto e per fare entrare luce vera nella cucina si dovrà scavare per due metri in profondità così da far riapparire le finestre del primo piano. Con Mirco, dandoci il cambio, in un paio d'ore portiamo letteralmente alla luce la cucina. Poi panchine da fissare all'esterno, i bidoni della differenziata da stabilizzare sulla neve dura e tanti altri piccoli gesti apparentemente banali che assumono una difficoltà impensabile per l'esposizione alla neve e al vento.

Dall'interno vedi alcune persone arrivare esauste sedersi sulle panche, mangiare e bere qualcosa portato da casa e poi buttare tutti i rifiuti nei bidoni. Sono gesti probabilmente inconsapevoli di tutto il lavoro che ci sta dietro e nonostante l'abitudine fanno un po' male. Non è certo obbligatorio consumare, ma magari un saluto, un grazie, un rifiuto portato a valle in autonomia sono gesti sempre notati ed apprezzati.

Il giorno procede, vedere i clienti che se ne vanno con il sorriso e promettono di tornare con questo o quell'altro amico o discutere sulle condizioni della neve di un tal versante sono fra le soddisfazioni per un lavoro che è stile di vita. A volte c'è anche chi si lamenta della qualità non sempre impeccabile del servizio, inconsapevole di tutta l'avventura che quel piatto o quel caffè nascondono,

del resto se si chiama "rifugio" un motivo c'è.

L'ultimo viaggio è quello verso valle, verso il ritorno. Il rifugio si deve spegnere con tutta una procedura inversa ugualmente impegnativa. Non puoi lasciare impianti o stufe in servizio perché non sai che cosa può succedere in tua assenza. Un paio di anni fa, proprio alla chiusura delle porte, Mirco fu investito da una ventata che gli causò un brutto taglio alla mano. Era da solo e ritornare a valle si trasformò in un calvario di dolore e difficoltà.

Ora è arrivato il momento di affardellare i bagagli, si legano agli zaini i grossi sacchi di immondizia accumulati durante il giorno e poi giù, filando su una distesa di neve ghiacciata e intonsa.


Il Rifugio CAI Duca degli Abruzzi al Lago Scaffaiolo è il primo rifugio alpino costruito nell'Appennino, correva l'anno 1878. Si trova sullo spartiacque fra Emilia e Toscana alla confluenza delle province di Bologna, Modena e Pistoia.
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